Rassegna di artisti coreani a Venezia

Rassegna di artisti coreani  a Venezia
rassegna di artisti coreani

RASSEGNA DI ARTISTI COREANI

Rassegna di artisti coreani a Venezia: 1ª edizione del progetto di dialogo artistico COREA-ITALIA a cura di Viana Conti e Christine Enrile.

 Le Sale Monumentali della Biblioteca Marciana in Piazza San Marco, luogo simbolo di Venezia, accolgono la mostra dal grande valore iconico Estetiche di Soglia/ In- Betweenness il doppio la luce il vuoto.

L’apertura della mostra avverrà venerdì 18 novembre alle ore 18.00 a Venezia presso gli spazi espositivi delle Biblioteca Nazionale  Marciana in Piazzetta San Marco n. 13/A alla presenza del Console Generale della Repubblica di Corea, Kang Hyung-Shik e del Direttore della Biblioteca, Stefano Campagnolo. La cerimonia di apertura sarà seguita da un piccolo cocktail di benvenuto. È possibile partecipare gratuitamente all’inaugurazione, fino ad esaurimento dei posti disponibili, mediante prenotazione al seguente link:

https://bit.ly/3NVj9Rq

1° EDIZIONE DI ARTE COREA – ITALIA

E’ questa la prima edizione del progetto di dialogo d’arte Corea-Italia, promossa dal Consolato Generale della Repubblica di Corea di Milano con la collaborazione di Palazzo Tagliaferro di Andora, che viene proposta in concomitanza della 59ª. edizione dell’Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia.

La rassegna propone differenti linguaggi degli artisti contemporanei coreani T-Yong Chung , Yang Sil Lee, Yu Jinyoung, Peter Kim, Bongchull Shik, in dialogo sinergico con l’ opera quale omaggio al grande Nam June Paik Broken Communication, realizzata nel 1994 dall’artista veneziana Federica Marangon.

Le Estetiche di Soglia, altrimenti dette In-Betweenness, che annunciano, nel titolo, la tematica di fondo della mostra, sono introdotte dall’opera di Maurizio Barberis Dell’invisibile Soglia  intendono registrare e comunicare allo spettatore d’oggi le proiezioni di un immaginario d’artista. Si tratta, nella fattispecie, di artisti sud-coreani, di formazione euroasiatica, dalla molteplice provenienza e appartenenza di campo, linguaggio, confessione, cultura. Tutti fattori che rendono percepibili le differenze e le somiglianze profonde che connotano opere di segno sia analogico-mimetico che virtuale-digitale. Come nel mondo fisico, cosi in quello etico-estetico-comportamentale, le dimensioni del tempo e dello spazio, in una società a tecnologia avanzata, sono mutate sia nei mezzi di trasporto aereo, marittimo, ferroviario, che in ulteriori condizioni di esistenza a livello socio-politico-ambientale.

La mostra sarà aperta al pubblico  dal 19 al 27 novembre ad ingresso gratuito


Artisti presenti a Venezia nella 1ª edizione del progetto di dialogo arte Corea-Italia:

Peter Kim

Nato nel 1967 a Gwangju, in Corea del Sud, risiede e lavora a New York –  artista internazionale formatosi in Asia e in Europa, realizza, concentrandosi in una condizione meditativa e rammemorante, una tessitura di segni puntiformi, di linee sinuose avvolte su se stesse, di gesti ripetuti come in trance a formalizzare una grande coppa senz’argini, in  sospensione aerea o fluttuante sull’acqua. Questi suoi lievi contenitori filamentosi, dalla forma archetipica e arcaica del vaso, sono presenze di soglia, pronte ad assumere una forma come a dissolversi. Si ripetono, nel percorso dell’artista coreano, come un mantra visuale, corrispondente a una recita vocale o a un magico canto liturgico rituale. Peter Kim realizza queste forme fluttuanti e oniriche sia nella sua calligrafia di segni che nella pittura ad acquarello o ad olio. La sua formazione primaria orientale e quella, culturalmente acquisita, occidentale si risolvono, nella sua produzione estetica, in profonda sintonia e risonanza .

Bongchull Shin

Nasce in Suwon nella Corea del Sud nel 1981, vive e lavora a Monaco di Baviera, Germania –  con i suoi insiemi site specific di Cubes and Stripes, Broken Glass/Cubi e Strisce-Frammenti di Vetro, di segno minimalista, opera nell’ambito della percezione visuale, tattile, cromatica, formale, fenomenologica a livello ambientale. Il vetro colorato, scelto dall’artista come materia, viene modificato nell’intensità, talvolta, con l’inserimento di strati sottilissimi. Con il ricorso a frammenti, taglienti come coltelli, di vetro verde – colore che in Corea riconduce simbolicamente alla bevanda alcolica popolare Soju – Bongchull Shin evidenzia il coesistere di valenze conflittuali e rischiose anche nelle realtà più seducenti e accattivanti. Non a caso l’artista coreano accosta a espressioni verbali come Love, Faith, Hope o Yes il monito a se stesso “Protect me from what I want”.

T-yong Chung

Formatosi all’Accademia di Belle Arti di Brera, Milano, mantiene la doppia residenza a Milano e in Corea del Sud –  è un artista pluripremiato, presente con opere in collezioni pubbliche e private, dedito alla scultura, alla calcografia, all’installazione, alla fotografia. Significativi, nel suo percorso, sono i lavori calcografici su tessuti leggeri e trasparenti con l’esito di formalizzare, tramite una stratigrafia denominata Contact, opere aeree, fluttuanti nello spazio espositivo, su cui l’artista stampa figure volumetriche colorate, sospese nel vuoto, sovrapposte nelle zone di contatto.  Tra queste compare un suo autoritratto, che, sottoposto a una fase abrasiva meccanica, tramite una mola rotante diamantata, risulta parzialmente cancellato nella sua fisionomia originale.

AUTORITRATTO

Ne nasce un nuovo soggetto che è traccia del suo doppio o dell’opera statuaria classica presa a modello. Manualità, pulsione sperimentale, ribaltamento di parametri estetici convenzionali, riattivazione mnemonica di modelli del passato, sfumano in una dimensione senza tempo. T-yong Chung è artista paradigmatico, rispetto all’Estetica di soglia che intitola la mostra e che ne costituisce la tematica di fondo. Si conciliano, infatti, nella sua opera le opposizioni dialettiche del pieno e del vuoto, del passato e del futuro, dell’interiorità e dell’esterno, della cultura d’Oriente e d’Occidente.

 

Yu Jinyoung

E’ un’artista internazionale che ha così personalmente stilizzato le sue modellazioni in plastica trasparente del corpo, soprattutto femminile, da renderlo simile a un contenitore senza appigli, a una bottiglia vuota, che affida al volto, divenuto maschera di un teatro senza parole, ma permeato di malinconia, e al dettaglio – la lacrima, un fiore, il motivo decorativo delle calze, le zampette e la coda di un cagnolino – divenuto punto di attenzione, il messaggio di contatti fisici perduti perché rivolti, quasi esclusivamente, in una società consumistica di massa, all’universo artificiale digitale.  Nella sua opera si formalizzano paradigmaticamente i topoi del Doppio, della Luce, del Vuoto, enunciati nel sottotitolo di questa 1ª edizione del dialogo Corea-Italia ideata e promossa dal Consolato Generale della Repubblica di COREA a Milano in stretta collaborazione con il Contemporary Culture Center di Palazzo Tagliaferro di Andora,

Yang Sil Lee

Vive e opera sia a Seoul che a Milano. Accompagnata e seguita, negli anni della sua formazione a Roma, da Pericle Fazzini, esponente italiano della scultura internazionale, Yang Sil Lee è una scultrice che non cessa di esprimere intensamente e sinergicamente, nella modellazione manuale della materia, la dimensione vitale e sacrale della terra. È percepibile, nel processo materico-gestuale della sua opera, la dimensione di un tempo ciclico, scandito sulle fasi del ritmo stagionale. Le sue spirali totemiche in terracotta policroma, rappresentando il dinamismo sinuoso, fertile, creativo, del corpo femminile, si configurano come archetipi di cicli naturali, cosmici, mitici. L’artista ha, nel luglio 2018, partecipato all’evento denominato “Cultura Coreana in Movimento”, promosso dal Consolato Generale della Repubblica di Corea a Milano, in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura del Comune di Andora.

Federica Marangoni

Protagonista storica internazionale del linguaggio del vetro, del video, del neon, presente nella Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia, durante la 59ª   edizione dell’Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia, con l’installazione multimediale la grande opera site-specific Memory:The Light of Time /Memoria:Luce del Tempo, Federica Marangoni conquista un posto, nella storia dell’arte contemporanea, già a partire dagli anni Settanta. La sua rotta di spostamento, reale e mentale, tra Venezia e New York, nei dodici anni di insegnamento alla New York University, attiva, da subito, nel suo immaginario, un rapporto osmotico tra l’estetica della vecchia Europa (da non dimenticare che è nipote dello storico dell’arte veneta Giuseppe Fiocco) e gli innovativi parametri comunicazionali della giovane America.

SESSANTOTTO E SASSANTANOVE A MILANO

Assidua presenza, già nel Sessantotto e Sessantanove, a Milano, del contesto redazionale della rivista “Domus”, viene precocemente in contatto con figure come Cesare Casati, Gianni Ratto, Giò Ponti, e come il corrispondente per l’arte contemporanea, da Parigi, Pierre Restany, il critico ideatore e fondatore, nel 1960, del movimento del Nouveau Réalisme, che la seguirà, con mostre in Oriente e in Occidente, per tutta la vita.  Pioniera, infatti, accanto ad altre protagoniste femminili della Storia dell’Arte, come sono Lee Krasner, Camille Claudel, Louise Nevelson, Louise Bourgeois, Carol Rama, Joan Jonas, è concettualmente vicina, quale artista contemporanea, a Nam June Paik, Dan Flavin, Bruce Naumann, Joseph Kosuth, Jenny Holzer. Storica, la sua installazione-performance The interrogation, presentata nel 1980, insieme alla prima mondiale del suo film The Box of Life, al MoMA di New York.

SIMBOLO DELLA METAFORA

Frequentatrice in chiave poetica del simbolo, della metafora, dell’archetipo, in un’epoca di perdita di soggettività, di emorragia d’identità e di crescente omologazione linguistica, Federica Marangoni sottoscrive una scelta estetica che recupera ai valori sacrali del monumento e della memoria i valori reali della vita, emozionali della nostalgia e del pathos, minimali della struttura, e immateriali dell’idea. Muovendosi agilmente tra i mezzi di comunicazione di massa del cosiddetto Villaggio globale, l’artista sa tuttavia individuare, nello stereotipato panorama informatico, il giusto segno per la trasmissione diretta di un determinato valore emozionale e di pensiero. In sintonia con la scuola di ricerca canadese di Marshall McLuhan, Marangoni è consapevole della funzione esercitata dai mass media sull’immaginario collettivo, al punto da sottoscrivere l’identificazione del mezzo con il messaggio. Led luminosi, comandi elettronici e sensori, monitor computerizzati, stampa digitale, sono strumenti funzionali all’immediatezza, alla trasparenza ed alla qualità percettiva del messaggio.

LO SCENARIO EMOTIVO

La sua capacità di monumentalizzare sogni e incubi in sculture di luce, colore, metallo e vetro, attiva per lo spettatore uno scenario di alta tensione emotiva. In un crescendo di consapevolezza, l’artista trova motivazioni etiche e soluzioni estetiche sempre più incisive socialmente e antropologicamente, donde titoli come Humanity, Living Together, Tolerance-Intolerance, People, The Urban Cage, Freiheit, It’s not a good day to be human. La qualità ossimorica di Federica Marangoni è quella di consegnare alla gelida inamovibilità del cristallo la mobilità pulsante di un filo narrativo, di un battito cardiaco. Titolo della vibrante installazione luministico-concettuale sulla facciata e nelle due sale interne della Galleria Internazionale d’Arte Moderna Ca’ Pesaro, in cui il Filo è insieme Significante e Significato. (Viana Conti, testo tratto dal catalogo Il Filo Conduttore/The leading Thread, C.E.Contemporary edizioni, mostra a Ca’ Pesaro, Venezia, 2015, a cura di Gabriella Belli).

 

Maurizio Barberis 

Dopo la laurea in architettura e il master in urbanistica a Urbino, sotto la guida di Giancarlo de Carlo, sceglie la strada dell’arte, che affianca a un’intensa attività didattica e pedagogica nel campo della Teoria del Colore e della Teoria della Forma presso la Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano. In quel periodo pubblica, oltre a numerosi saggi scientifici, un saggio filosofico sul tema “Teoria del colore, frammenti per un’analisi fenomenologica”. Da sempre ha orientato la sua ricerca verso la consapevolezza della relatività del binomio spazio-tempo.In quegli stessi anni viene chiamato a Venezia dal direttore di Palazzo Fortuny, che gli affida l’incarico di organizzare un seminario di studi dedicato all'”Utilità dell’arte”, un workshop sul design della luce, la curatela di una sezione (La luce di Fortuny) della mostra dedicata al cinquantenario di Mariano Fortuny a Palazzo Fortuny.

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